RODRIGO FRANCISCO

Incontriamo Rodrigo Francisco, direttore artistico del Festival del Teatro Municipal Joaquim Benite di Almada (Lisbona), un luogo dove la magia del teatro si fa per tutti e di tutti.

entrevista a Rodrigo Francisco in Teatro Persinsala, 9 Julho 2019 notícia online

Il Festival di Almada, giunto alla sua trentaseiesima edizione, quest’anno si autodefinisce deliberatamente eclettico. Cosa significa, perché questa scelta e come intende realizzarla.
Rodrigo Francisco
: «Credo che a distinguerci dagli altri festival sia il fatto che il pubblico è sempre al centro della nostra attenzione. Abbiamo stabilito un dialogo con la gente di Almada e tanti di loro sono abbonati al Teatro Municipal Joaquim Benite. Ad Almada, festival significa incontro, dibattito, star bene.
Senza una programmazione eclettica, questo incontro non sarebbe possibile. Definire il festival in maniera rigida (con un tema, una disciplina artistica o un’estetica) allontanerebbe chi non si sentisse in sintonia con quel tema, quella disciplina, quell’estetica. Il mondo, come oggi si va delineando, ci allontana già cosi tanto gli uni dagli altri: perché un festival, una festa, dovrebbe separarci come persone e come pubblico, invece che stabilire dialoghi?».

Ragionando sulla relazione tra classico e contemporaneo, a suo modo di vedere, quali sono le nuove forme di pensare, scrivere e dirigere spettacoli nel contesto teatrale portoghese? Quanto e come esse si confrontano (o scontrano) con quelle più tradizionaliste e classiche?
R.F.
: «Non penso mai al teatro come teatro classico o come contemporaneo. Penso che esista un buon teatro e un non buon teatro. Nel primo caso, mi riferisco agli spettacoli che tornano a casa con noi, come scrisse Peter Brook, spettacoli a cui noi stessi faremo ritorno, per ispirarci o, semplicemente, aiutarci a vivere, in cui c’è spazio per la poesia, l’intelligenza, l’humor e il gusto estetico; poi ci sono gli spettacoli noiosi, pieni di sé, insomma brutti.
Quel che intendo dire è che un testo di Shakespeare, diretto da un regista settantenne, con personagi vestiti con costumi d’epoca, può essere molto più moderno di un monologo fatto da un ventenne, filmato live da Sidney con la sua band in scena, tutti nudi o vestiti da coccodrilli».

Trentotto spettacoli provenienti da tutto il mondo per un festival internazionale ma anche indipendente, sociale, partecipativo. Dunque non una semplice vetrina di nuove produzioni teatrali da distribuire. Quanto sono importanti l’ascolto e il dialogo con il pubblico per la sua attività artistica e, più in generale, per la vita culturale di Almada e Lisbona?
R.F.: 
« L’unica condizione che imponiamo agli artisti che vengono ad Almada è che siano disponibili a dialogare col pubblico, anche nel senso di discutere intorno allo spettacolo. Questi dibattiti, promossi da critici di teatro, servono a stimolare la curiosità, che è una delle componenti dell’intelligenza. Siamo una compagnia che presenta una programmazione annuale: abbiamo bisogno di un pubblico informato, esigente e colto. Il Festival di Almada, a Luglio, è l’occasione ideale per promuovere la formazione del pubblico che ci accompagnerà nella prossima stagione».

Gli spettacoli vanno in scena in teatri e spazi culturali in tutta la città di Lisbona. Quali sono e come avete collaborato con gli altri spazi ed istituzioni?
R.F.: 
« Dal 1997 il Festival de Almada ha oltrepassato il fiume, cercando (e trovando) altri teatri di Lisbona, con cui co-presentare gli spettacoli: stimolare lo scambio reciproco del pubblico nelle diverse sale di Lisbona è vantaggioso per tutti. Senza perdere la propria identità – quella di un festival fatto per la sua comunità – credo che abbiamo aperto le porte dei teatri di Lisbona alla popolazione di Almada: alcuni dei nostri spettatori sono entrati in queste sale per la prima volta proprio grazie al Festival di Almada».

Quest’anno la Companhia de Teatro de Almada debutta con lo spettacolo Se isto é um homem, una rielaborazione teatrale di Rogério de Carvalho del romanzo di Primo Levi. La decisione di portarlo in scena ha a che vedere con l’attuale situazione storico-politica che coinvolge un’Europa nuovamente stretta tra vari nazionalismi?
R.F.
: «Penso che il teatro, da solo, non possa cambiare il mondo. Ma è un ottimo mezzo per stimolare il dibattito e/o mantenere viva la memoria. Il libro di Levi è uno dei più importanti del secolo scorso, non tanto in quanto opera letteraria, quanto come testimonianza del livello di barbarie a cui può arrivare l’essere umano. Nell’epoca in cui viviamo, quanti quindicenni conoscono davvero la parola Olocausto, per quanti di loro significa ancora qualcosa? Ecco il nostro contributo».

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