Al Festival di Almada. Con Milo Rau, Peter Stein e qualche leone

 Roberto Canziani in QUANTESCENE! 12 Agosto 2023 | notícia online

Ruggisce il leone Peter Stein. Qualcuno lo incalza, sostenendo che coreografia, nouveau cirque, spettacoli partecipati e documentari, proiezioni, video, e magari anche i droni, hanno dato una svolta decisiva al teatro degli ultimi due decenni.

Ma lui, il regista tedesco fondatore della formidabile Schaubühne a Berlino, ricorda che in scena, proprio lui, aveva portato addirittura i leoni. Veri, sostiene. E succedeva molti anni fa, precisa.

Caffè e imperial

Siamo ad Almada, la città che sorge proprio di fronte a Lisbona, sull’altra riva del fiume Tago. Il pomeriggio è splendido, arriva dall’Atlantico un vento fresco, il chiosco sull’esplanada serve caffè e imperial, come si chiama qui la mezza pinta di birra.

L’esplanada, che in realtà è il grande cortile di una scuola, diventa ogni anno un luogo di incontri, di conversazioni, di cibo consumato in compagnia, a volte di improvvisate storie d’amore teatrale. E non solo. Perché il festival di Almada non è solo un cartellone di spettacoli internazionali. È piuttosto un’occasione di incroci, uno snodo nel quale il palco è spazio di performance, ma anche di osservazione, discussione, indagine, flirt.

Con un imperial davanti, e Peter Stein che ti racconta di quando in quel suo spettacolo se la vedeva con i leoni. Quattro, ci tiene a dirlo.

Festival Almada 2023 - Esplanade
Esplanada – incontro pubblico con Peter Stein

Vi va di venire in Portogallo?

Massì, venite. Fatelo, però a luglio, non adesso in agosto. Il clima a luglio è quello giusto, le città respirano, gli spettacoli, i concerti, alle feste all’aperto si moltiplicano. E gli aerei costano meno.

Ogni anno poi, Almada dispiega a luglio il suo festival teatrale. Uno dei più interessanti d’Europa, secondo me. E perciò anche del mondo.

Almada quarant’anni

Ha una sua lunga e bella storia, questo festival, frutto del lavoro politico di una compagnia teatrale che lavorava a Lisbona, opponendosi alla dittatura di Salazar. Dopo la “rivoluzione dei garofani”, i giovani artisti indipendenti del Grupo do Campolide avevano attraversato il ponte sul Tago (e il nome oggi richiama proprio quei giorni: ponte 25 aprile 1974) e trovato ospitalità ad Almada, la città operaia e socialista che fronteggia la capitale.

Da quello sparuto gruppo di artisti, capeggiato allora da Joaquim Benite, è cresciuto in quattro decenni un festival internazionale, il più attrattivo oggi in Portogallo.

Prima, nella piccola sala del Teatro Municipal, poi quella grande e accogliente del Teatro Azul e del suo Spazio Experimental. Ma anche sugli spalti popolari della Escola Antonio Da Costa e nell’agile Forum Correia. Per occupare pure altri luoghi e riattraversare infine il ponte, movimentando l’estate delle grandi e illustri sale della capitale: il Centro Culturale di Belem, il teatro São Luiz e il Dona Maria II, il Culturgest, la Fondazione Gulbenkian.

Finalmente, nel 2023 il Festival di Almada ha festeggiato la 40esima edizione.

Festival Almada 2023 - Audience

Un festival che cambia

È la ragione che da quasi vent’anni mi porta qui d’estate, per un festival che naturalmente cambia, come cambia il teatro, di cui Almada è un osservatorio internazionale.

È anche l’occasione che in questi due decenni mi ha fatto incontrare, di persona, il lavoro e il pensiero di fondamentali artisti intercontinentali. Prima che fossero noti da noi, ho avvistato qui Tolcachir, Spregelburd, Veronese, Jatahy… Ma ugualmente ho brindato con Zadek e Marthaler, e scoperto portoghesi illustri come Miguel Cintra, Ricardo Pais, Tiago Rodrigues. E mi sono incuriosito davanti alle produzioni di compagnie che venivano da Mozambico o Angola o Capo Verde, oltre che da Brasile e Portogallo. Qui ad Almada, dico, non a Parigi o Berlino.

Festival Almada 2023 - Esplanade
Festival Almada 2023 – ph Roberto Canziani

Più pop, più leggibile

A guidare il progetto artistico del festival, dopo che Benite è scomparso nel 2012, c’è adesso Rodrigo Francisco. Quarantenne o poco più, attento a non tradire quell’eredità, ma a declinarla pure in formati nuovi. Più pop, se vogliamo. Più leggibili da una comunità, che magari non prova particolare simpatia per Beckett, ma si entusiasma davanti all’illusionismo spettacolare del coreografo francese Yoann Bourgeois.

Che quest’anno ha confezionato uno spettacolo, Minuit (mezzanotte), dove il talento corporeo si fonde con un ingegno futuristico e acrobatiche sorprese. Che non vi rivelerò. Però c’è qui sotto il video: guardate e capirete. E caso mai, vi capitasse di incrociarli, siate veloci nell’acquistare il biglietto.

Da Stein a Rau, passaggio di consegne

Ma non è detto che l’occhio rivolto a un cirque fantasioso (c’erano pure gli altri francesi, del Galactik Ensemble) impedisca di registrare certi storici passaggi di consegne. Gli onori resi all’85enne Stein, alle prese con Pinter (Il compleanno), non tolgono certo spazio alle generazioni successive. E il 46enne svizzero Milo Rau, può ben presentarsi come campione del post-drammatico, con uno di quei suoi Dokument, che tocca pure le corde dell’emozione.

Si tratta di lavoro ideato assieme a un’attrice feticcio del teatro tedesco odierno, Ursina Lardi, che in Everywoman rievoca il proprio incontro con una donna molto diversa da lei, Helga Bedau, a cui una diagnosi infausta aveva lasciato pochi mesi di vita.

 Everywoman, cioè Ognuna: un modo per dire che morire ci fa tutti e tutte uguali. Come la antichissima morality che ogni anno, dal 1920, si replica al festival di Salisburgo (è là che Rau l’aveva presentata, per poi replicarla al Piccolo di Milano nel 2021).

Il monologo in prima persona, indirizzato al pubblico, l’interazione con il video sullo schermo alle spalle, il brutalismo dell’acqua che piove in scena inzuppando il pianoforte le carte che furono della donna, sono strumenti di una gestione contemporanea della scena.

Ma messi accanto alla costruzione finzionale dei personaggi, come succede in Pinter, o in Thomas Bernhard (c’era il suo Minetti, ironicamente recuperato in un Calvario dallo stesso Rodrigo Francisco per la compagnia di Almada), raccontano l’attuale metamorfosi di una idea di teatro.

Che può ancora intrattenersi con i classici (Declan Donnellan ha portato in scena, malamente, La vita è sogno). Ma preferisce raccontare autobiograficamente le cicatrici di abusi adolescenziali , consumate dentro le istituzioni sportive e religiose (“Che non esca da qui” ammonisce il Tomo 1 di Enciclopedia del dolor, del drammaturgo e regista spagnolo, e anche un po’ italiano, Pablo Fidalgo).

Ad Almada, una volta almeno

Vederli tutti raccolti ad Almada, in una decina di giorni, attraversando volentieri il fiume in battello, tra il profumo del bacalhau che si vende nei chioschi sulle rive, presso il monumento ai Descobrimientos e a Vasco da Gama, è una di quelle esperienze, che una volta nella vita almeno bisogna fare. Se non, come me, per un ventennio intero.

Il prossimo anno, già in primavera, prima di prenotare esotiche vacanze, date un’occhiata ai prezzi dei voli Italia-Portogallo e un’altra al sito del Festival de Almada. Facile che ci incontriamo là.

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